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Il possibile impatto delle elezioni americane sulle relazioni Usa-Cina

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31 Ottobre 2024 

Il nostro nuovo articolo pubblicato su: 

alt-hbritalia

di Antonio Acunzo

CEO, MTW GROUP 

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Il prossimo 5 novembre 2024 gli elettori americani voteranno il nuovo Presidente degli Stati Uniti, che si insedierà alla Casa Bianca il 20 gennaio 2025. Che sia Kamala Harris oppure Donald Trump, il nuovo Presidente segnerà il corso della politica economica e delle relazioni internazionali degli Usa per i prossimi 4 anni, con un profondo impatto sulle relazioni tra Usa e Cina e sulle relazioni con gli alleati.

Usa e Cina sono la prima e la seconda potenza economica globale: con un valore di 27,3 triliardi di dollari nel 2023, il Pil degli Usa rappresenta un quarto di quello globale, mentre il Pil cinese si assesta a 17,6 triliardi. Nel 2023 l’interscambio Usa-Cina ha raggiunto un valore di 575 miliardi di dollari, di cui 148 miliardi l’export verso la Cina e 427 l’import, un deficit di bilancia commerciale enorme, che ambedue i candidati vogliono ridurre.

 

In effetti, già la Presidenza Trump (2017-2021) aveva imposto un dazio del 25% su una serie di prodotti made in Cina, non solo mantenuto dalla Presidenza Biden, ma addirittura implementato su alcune categorie di prodotti considerati strategici (semiconduttori, energie rinnovabili, veicoli elettrici). Con l’intento annunciato del decoupling, ossia l’allentamento dell’interdipendenza tra i due Paesi in un quadro di crescente rivalità geo-strategica, portato avanti con una politica mirata a ridurre l’import americano dalla Cina, aumentare i posti di lavoro e garantire la sicurezza e la protezione delle infrastrutture civili e militari americane.

 

La politica mirata al decoupling si è avvertita, sia a livello politico sia di opinione pubblica americana, soprattutto nel 2020 in piena pandemia Covid-19 a causa della progressiva ed eccessiva dipendenza degli Usa da prodotti cinesi, a partire dalla carenza di maschere protettive N95 e di altre attrezzature mediche. Ma, allo stesso tempo, anche in Cina si è avvertita la medesima necessità, allo scopo soprattutto di eliminare la dipendenza da aziende straniere per tecnologie e prodotti strategici e per stimolare lo sviluppo e il predominio di aziende cinesi come leva di competitività globale.

 

Il piano Made in China 2025 vede, infatti, il governo cinese sostenere le imprese in operazioni di M&A e di investimenti esteri diretti per ridurre la dipendenza della Cina da tecnologie gestite da imprese non cinesi (si veda il nostro articolo “Nel confronto Usa-Cina si afferma il nearshoring”, pubblicato su HBR Italia a giugno 2024). 

 

L’obiettivo del decoupling viene interpratato da Kamala Harris come de-risking, come disse già nel suo ruolo di Vicepresidente e non ancora di candidata presidenziale democratica, nel settembre 2023 in occasione di un summit ASEAN a Jakarta. Seguendo, così, la logica di non abbandonare la Cina e delocalizzare tout-court, bensì di assicurarsi di proteggere gli interessi americani nella regione dettando le regole del gioco.

 

Obiettivo del de-risking è di contenere i rischi creando una situazione più equilibrata nell’ambito di un rapporto che si vuole non cancellare ma riportare ad equilibrio nonostante le tensioni in atto generate dal supporto cinese alla Russia nel conflitto in Ucraina e dalla questione di Taiwan, dove gli Usa non escludono un possibile supporto militare nel caso di un intervento cinese sull’isola. Con una presidenza Harris, dunque, pur mantenendo dazi tariffari si darà priorità agli interessi strategici americani in termini di prodotti e di commercio, confermando l’appoggio a Taiwan e alle Filippine a protezione degli interessi Usa nel Mar Cinese Meridionale.

 

Diversa la prospettiva nel caso di una vittoria di Donald Trump

 

L’atteggiamento verso la Cina risulterebbe più aggressivo e di confronto diretto, esacerbando tensioni anche grazie alla retorica con cui il tycoon si è reso famoso, con una posizione più isolazionista e protezionista. Di Trump sono note anche le critiche all’alleanza militare NATO, minacciata addirittura di abbandono dato il manifesto disinteresse dimostrato su questioni ritenute da Trump essenziali, come appunto la questione di Taiwan e delle aree strategiche del Pacifico.

In campo commerciale l’orientamento di Trump è decisamente protezionista, ben più di Harris, con un programma che prevede forti dazi a partire da una “blanket tariff” del 20% su tutti i prodotti importati negli Stati Uniti (quindi anche dall’Europa), con un ulterioriore dazio variabile dal 60% al 100% sui prodotti cinesi (con il 100% sulle auto elettriche cinesi prodotte in Messico). Una mossa che potrebbe abbattere il PIL cinese di ben il 2%, secondo Goldman Sachs. 

Un innalzamento delle barriere al commercio ha quasi sempre effetti negativi, come si era già visto quando Trump introdusse le tariffe doganali nel 2018, generando un aumento vertiginoso dei costi di spedizione via mare. 

 

Nel solo semestre gennaio-giugno 2024 il costo di spedizione di un container di 40 piedi dall’Asia alla costa ovest degli Usa è, per esempio, più che raddoppiato, da 2.966 a 6.840 dollari. Da qui la convinzione di un effetto di aumento del prezzo dei prodotti per il consumatore americano che il Center For American Progress stima in 3.900 dollari per nucleo familiare e il Peterson Institute for International Economics di almeno 2.600.

 

Né si possono escludere ulteriori restrizioni in tema di investimenti cinesi in USA, di cui un esempio è la legge del luglio 2023 entrata in vigore in Florida, siglata dal governatore Ron DeSantis, che proibisce a persone di cittadinanza cinese l’acquisto di proprietà immobiliari all’interno dello Stato, azione che il governatore spiega come misura di contrasto alla più grande minaccia geopolitica per gli Usa.

 

Il tema investimenti cinesi è delicato in ottica anche di strategia di nearshoring per produrre in Messico ed esportare negli Stati Uniti beneficiando dell’accordo di free trade USMCA. Questo accordo di libero scambio tra Usa, Canada e Messico dovrà essere riconfermato nel luglio 2026 dai 3 paesi aderenti che dovranno decidere se proseguire l’intesa o rescinderla. 

 

In conclusione, lo spirito anti-Cina rimane una costante bipartisan sia per i due partiti, Democratico e Repubblicano, sia per i due candidati presidenziali, Harris e Trump. Ma se con una presidenza Harris è possibile attendersi un certo miglioramento delle relazioni bilaterali, le dinamiche di una presidenza Trump fanno sicuramente prevedere un raffreddamento non solo nelle relazioni Usa-Cina, ma anche tra Stati Uniti e resto del mondo.

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